martedì 5 luglio 2011

un labirinto per il futuro

Non vi sono più spazi liberi. Il mondo rischia di essere intasato, e se vogliamo esprimere domande nuove e aprire all'avvenire, occorre procedere a una "demolizione sistematica dell'edificato annullato". Siamo circondati da immagini di un mondo futuro che sarà "immondezzaio di costruzioni obsolete di rifiuti di cemento". La libertà di esprimere le proprie domande, in assenza di una cultura e un linguaggio comuni tra costruttori e committenti, si traduce nell'anarchia. Ma ad essa a sua volta risponde una regolazione che produce l'esito di inibire qualsiasi creazione, qualsiasi innovazione. In queste condizioni la partecipazione è solo inganno e simulazione. E quindi?
La ricerca di un cammino, come dell'immagine del labirinto, che testimoni della complessità particolare dell'atto del costruire è l'indicazione conclusiva della Choay (F. Choay, la regola e il modello).
Si tratterebbe di smontare l'idea imperialistica e sovrana, e di sviluppare invece un'idea di appropriazione corporea ed emozionale dello spazio: solo a queste condizioni i concetti di luogo, di paesaggio, di patrimonio storico potrebbero riacquistare un significato.
Ma quali forme e contenuti avrà questa idea di spazio? Seguendo la sua idea di labirinto, si tratterà di sentieri non rettilinei né semplici, forme di passaggio. Il labirinto: ma non più la linea a spirale che si dirige verso un centro, quanto linee spezzate che si intersecano. Alla ricerca di un passaggio. Ben sapendo che può anche non esserci nessun passaggio: come nell'annullamento di ogni passaggio tra confini, nell'indifferenza che la tecnica impone alla terra (allorché la sorveglia e la controlla dall'alto di un satellite).
Quindi non più ricerca della casa come abitazione, nessun aménagement, quanto piuttosto déménagement (Baudelaire), sradicamento: il nostro viaggiare, il passare oltre.

Liberamente tratto da: Paolo Perulli, Visioni di Città, Einaudi, Torino 2009

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